Il cinema d’autore indiano si classifica come qualcosa di estremamente elitario e per nulla commerciale. Tre sono i grandi registi di queste produzioni:
- Satyajit Ray, il più importante, di cui parleremo ampiamente in seguito;
- Mrinal Sen, regista bengalese considerato padre della “Nouvelle vague” indiana; ha trattato tematiche sociali molto scottanti ed ha accusato Ray di essere troppo quietista;
- Ritwik Ghatak, regista maledetto e deviante, spesso schiavo di alcol e droga; diresse pochissimi film tra gli anni ’60 e ’70, di cui solo 6 possono essere realmente considerati importanti. Fu insegnante di cinema all’accademia di Puna e formò i registi più importanti dei decenni successivi.
Come detto prima, Satyajit Ray è considerato in assoluto il più significativo esponente di questo nuovo modo di fare cinema. Nato a Calcutta nel ’21 da una famiglia borghese, frequenta l’università fondata dal poeta Tagore, che plasmerà la sua idea di una possibile unione tra oriente ed occidente basate sulle leggi dell’umanesimo. Esordisce dapprima come grafico pubblicitario, e soltanto in un secondo momento si dedica alla direzione della sua prima pellicola, che inaugurerà la trilogia dedicata ad Apu.
- Satyajit Ray, il più importante, di cui parleremo ampiamente in seguito;
- Mrinal Sen, regista bengalese considerato padre della “Nouvelle vague” indiana; ha trattato tematiche sociali molto scottanti ed ha accusato Ray di essere troppo quietista;
- Ritwik Ghatak, regista maledetto e deviante, spesso schiavo di alcol e droga; diresse pochissimi film tra gli anni ’60 e ’70, di cui solo 6 possono essere realmente considerati importanti. Fu insegnante di cinema all’accademia di Puna e formò i registi più importanti dei decenni successivi.
Come detto prima, Satyajit Ray è considerato in assoluto il più significativo esponente di questo nuovo modo di fare cinema. Nato a Calcutta nel ’21 da una famiglia borghese, frequenta l’università fondata dal poeta Tagore, che plasmerà la sua idea di una possibile unione tra oriente ed occidente basate sulle leggi dell’umanesimo. Esordisce dapprima come grafico pubblicitario, e soltanto in un secondo momento si dedica alla direzione della sua prima pellicola, che inaugurerà la trilogia dedicata ad Apu.

Ray resterà folgorato dalla visione di due pellicole del neorealismo italiano: “Ladri di biciclette” di De Sica e “Roma città aperta” di Rossellini. Cercherà così di creare film molto simili a questi, seguendo la filosofia del non-evento e dipingendo la vita reale della gente indiana per come si presenta, senza le finzioni e le enfasi dei prodotti bollywoodiani. Naturalmente questa ardita decisione causa al regista non pochi problemi nel trovare finanziamenti per le sue opere: Bollywood si dimostra del tutto disinteressata ai suoi progetti, e la NFDC non era ancora stata creata. Per questo si vedrà costretto a vendere i beni di famiglia ed i gioielli della moglie per ultimare le riprese del suo primo film.
Nel ’47 Satyajit Ray fonda il primo club cinematografico dell’India, dove appassionati di tutto il Paese potevano riunirsi per guardare e commentare le pellicole più belle di tutto il mondo. Nel ’49, poi, si mette a disposizione del regista francese Jean Renoire durante le riprese del film-documentario “Il fiume”: da qui imparerà le tecniche della regia che gli saranno tanto utili in seguito.

Filippo
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