La situazione attuale in India è molto diversa. I problemi energetici di 30 anni fa sono stati quasi completamente risolti, permettendo la nascita e lo sviluppo di una televisione con 7 canali nazionali e 47 regionali. Ma anche altri aspetti della vita mediatica sono in evoluzione: ad una crescente produzione di cinema d’animazione, si affianca un ricchissimo mercato di videogiochi.
Eppure l’industria cinematografica indiana si mantiene ad altissimi livelli già dagli anni ’40.
Il primo lungometraggio in assoluto risale al 1913 e porta il titolo di “
Re Harischandra”: un film religioso, dunque, apre la storia del cinema made in India.
Tre sono i filoni portanti delle produzioni bollywoodiane:
- Religioso-mitologico;
- Storico;
- Commedia amorosa.
Sin dall'inizio il cinema indiano ha potuto godere di co-produzioni internazionali. Sempre negli anni ’40, inoltre, sono nate le principali Major, tra cui citiamo a titolo esemplificativo la
Bombay Talkies.
Vediamo ora un altro classico film di produzione bollywoodiana, ovvero “
Andaz”. Anche questo è un prototipo della commedia romantica, ambientato in un’India da sogno, ricca e decisamente occidentalizzata. Da notare l’importanza del ruolo femminile: la storia si configura infatti come un triangolo amoroso con la figura di lei al centro, interpretata dall’irriverente attrice
Nargis, una vera e propria icona degli anni ’40 e ’50.
In contrasto con le usanze che imponevano alle donne il Sahari, la protagonista indossa rigorosamente abiti occidentali, presentandosi sulla scena vestita da cavallerizza. La trasgressione degli abiti, tuttavia, è solo un piccolo sentore dell’irruenza e dell’emancipazione del personaggio in sé. La donna si invaghisce infatti dell’ospite del marito, ma si ferma sempre un passo prima del tradimento vero; si macchierà dell’omicidio dello stesso amante, verrà processata e dichiarata colpevole.
Durante il processo, l’accusata tenta un mea-culpa nel tentativo di rinnegare anni trascorsi nel tentativo di rendersi indipendente, cercando di esaltare i buoni costumi della tradizione indiana che vedono la donna sottomessa e fedele casalinga. Ma questo discorso non convince, né i giudici della finzione, né gli spettatori reali del film, che trovano ugualmente in Nargis un richiamo forte verso un’emancipazione femminile.
Nel ruolo del marito ritroviamo
Raj Kapoor, lo Charlot indiano, che oltre ad essere un grande attore, ha saputo dirigere diversi film in qualità di regista. L’amante, invece, è interpretato da
Dilip Kumar, un volto che grazie a questo film entrerà indelebilmente nell’immaginario collettivo.
Non a caso la commedia “
The waiting room” di
Tanica Gupta, interpretata nel 2000 al National Theatre di Londra con la partecipazione dell’attrice indiana
Shabana Azmi, racconta di una donna talmente attaccata alla vita da non accorgersi di essere morta. Dio, per convincerla del suo trapasso, le manderà nient’altro che lo spirito di Dilip Kumar, l’attore di cui era pazzamente innamorata da ragazzina.
Il film si apre con l’amante che salva la donna appena prima che il cavallo imbizzarrito la faccia precipitare da un burrone. Spesso Dilip Kumar si troverà a suonare il pianoforte, in un ambiente dall’arredamento tipicamente occidentale: eppure le note che si possono sentire sono quelle del sitar e di altri strumenti indiani. Questo ad indicare un grande sforzo di occidentalizzazione, ma anche una paura recondita di tradire la propria tradizione: il costume troppo anglicizzato può infatti portare alla rovina, come suggerisce la morale di fondo della vicenda.
“
Kaala pattar”, tradotto “La pietra nera”, è invece un film bollywoodiano di fine anni ’70, ambientato in una miniera di carbone. Il protagonista è un ex capitano di marina, che per espiare delle precedenti colpe, decide di andare a lavorare in miniera. Si accorgerà presto, però, di un grave pericolo per la sicurezza dei suoi compagni, e non esiterà a mettersi contro persino al proprietario dell’attività. In questo caso abbiamo un lieto fine.
Il protagonista è
Amitabh Bachchan, l’attore più conosciuto del mondo, che in questa pellicola, a dire il vero non troppo brillante, si ritaglia il perfetto ruolo di giovane che si ribella contro le ingiustizie. Una vera icona per tutti gli indiani. Si introduce tuttavia un tema insolito per Bollywood: quello della denuncia sociale.
Tema che invece costituisce il perno centrale della produzione d’autore, che vede in Satyajit Ray il suo esponente chiave. Non ci sono balletti, non ci sono canti, il lieto fine non è scontato. Per questo le Major di Bollywood non contribuiscono alla produzione di queste pellicole di carattere elitario e per nulla commerciale, aiutate invece dall’indiana
NFDC,
National Film Davelopment Corporation.
Tra queste due realtà del tutto opposte, si inserisce il
Middle-Cinema o
Crossover Cinema, che cerca una via mediana tra la realtà commerciale di Bollywood e l’impegno serio degli autori. Una produzione che tocca problemi reali, dunque, ma con un’attenzione anche al fruitore, che deve poter comunque trovare nella visione del film un momento piacevole.
“
Bhumika”, tradotto “Il ruolo”, è un film del 1977, diretto dal regista pubblicitario
Shyam Benegal. La protagonista, interpretata dalla bravissima
Smita Patil, morta all’improvviso a soli 31 anni, è un’attrice che si divide tra i personaggi ricchi e felici che interpreta sul set e la tristezza che la accompagna nella vita sentimentale.
Il film si costruisce su tre narrazioni, quella del set, quella reale e quella dei flashback che ci consentono di ripercorrere il passato dell’attrice. Il risultato finale è una pellicola che gioca con i generi, una sorta di post-moderno ante litteram con richiami al meta-cinema. Il messaggio finale sembra essere un chiaro allarme: “Il cinema è solo finzione”.
Tutto si apre con una tipica scena di danza bollywoodiana. Ma ecco entrare in primo piano le telecamere, e la magia di finzione si rompe inesorabilmente. L’agente dell’attrice vorrebbe farle
da compagno nella vita reale, ma lei lo respinge. Frequenta così numerosi uomini, ma tutti quanti finiranno col deluderla.
Importante è la figura di un regista, interpretato dall’attore impegnato
Naseruddn Shah, con il quale la giovane protagonista si intrattiene in una lunga discussione durante un viaggio in macchina. In questo dialogo si tratta di morte, negando e deridendo la reincarnazione: una vera e propria bestemmia per il pubblico indiano degli anni ’70.
Inizia così una cordata di film indipendenti da Bollywood, ma con un occhio di riguardo al mercato. Il cinema impegnato può anche non essere noioso: per questo acquista importanza il ruolo dello sceneggiatore, fino ad ora considerato di poco conto. Il Crossover cinema è ritenuto attualmente la corrente portante dell'industria indiana, con un grande successo di critica e di pubblico grazie a nomi del calibro di
Mira Nair.